Specchio della psiche e della
civiltà
GIUSEPPE
PERRELLA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 24 aprile
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: SAGGIO BREVE/DISCUSSIONE]
(Terza Parte)
4. Foucault e il costituirsi dei
soggetti storici nella trama di idee ed eventi. Credo che proprio considerare Seneca cristiano ci
riveli un carattere del modo di pensare diffuso ai nostri giorni: una
superficiale attenzione allo stile del comportamento votata a ignorare le
ragioni della sostanza[1]; l’irriflessività con la quale ci si omologa alla
maggioranza nell’agire diventa involontariamente metro di giudizio e paradigma
soddisfacente per interpretare la realtà umana. Così, uno che parla di vizi e
virtù e pratica la continenza, in tal modo percorrendo una via diversa da quella
epicurea per giungere all’atarassia, alla doxa contemporanea sembra si
possa assimilare a chi rinuncia al proprio desiderio per soddisfare il bisogno
dell’altro, compiendo la volontà di Dio.
Ho
discusso di Nietzsche per l’influenza che la sua filosofia ha esercitato e continua
ad esercitare sull’estetica contemporanea e perché il suo pensiero ancora oggi
funge da veicolo della cultura classica nella realtà attuale, ma un’eredità più
recente anche se non paragonabile per impatto a quella del filosofo di Röcken
ci è stata lasciata da un pensatore che si è nutrito di Nietzsche quasi quanto
di Marx e che, pur rivolgendosi al lettore con uno stile letterario piacevole e
ricercato, ha fondato sul rigore della ricerca storica, con nuovi documenti e
nuove analisi, la trasmissione di una più profonda comprensione dei Greci e del
loro sentire: Michel Foucault[2].
Foucault
si propose di realizzare il progetto storico-genealogico di Nietzsche che
auspicava la ricostruzione diacronica dello sviluppo delle idee dominanti sulla
follia, sul crimine e sulla sessualità. L’interesse per
questo studioso, che forse non ha mai scelto tra la passione del filosofo e
quella dello storico, è tornato di grande attualità dopo la pubblicazione
postuma nel 2018 de Le confessioni della carne, quarto ed ultimo volume
del progetto intitolato Storia della sessualità e preceduto dai volumi
pubblicati in Francia dal 1976 al 1984: La Volontà di sapere, L’uso
dei piaceri e La cura di sé.
Ne Le
confessioni della carne, che Foucault lasciò incompiuto per la prematura
scomparsa, l’attenzione è focalizzata sulle regole e le prescrizioni in vigore
durante i primi secoli del cristianesimo, sulla loro origine e sui loro effetti
nella costituzione del soggetto nel mondo occidentale. L’analisi delle
prassi comportamentali è condotta nella prospettiva dell’ateo e, pertanto,
trascura l’origine dalla tradizione ebraica delle condotte in materia di morale
sessuale ed enfatizza la ricerca di prove a supporto dell’influenza di pratiche
stoiche diffuse presso i Romani. In altri termini, negando l’esistenza di Dio
rischia di negare anche la capitale esistenza simbolica dell’Ente supremo
ebraico identificato con JHWH e all’origine di tutta la tradizione storica
e di costume veicolata in Italia dagli ebrei, a cominciare dal viaggio
di San Pietro[3], che determinò la fondazione di una miriade di
comunità religiose e di vita spirituale ispirate ai dieci comandamenti della
Legge mosaica interpretati alla luce del comandamento d’amore di Gesù Cristo.
Anche se
nell’indagine sui documenti dei primi secoli dell’era cristiana e poi nell’analisi
dei testi dei Padri della Chiesa che hanno fondato l’etica sessuale occidentale
Foucault fornisce contributi originali circa il modo di intendere i sentimenti e
di rapportarsi nella coppia, rivela una sorta di distanza tecnica quando
si tratti di comprendere la struttura del legame affettivo che si genera tra i
coniugi e impronta i rapporti nella figliolanza[4].
Le due eterne
possibilità dell’armonia che genera armonia e del conflitto che
genera conflitto, non sono mai rintracciate perché mai supposte da lui, che
mancava dell’esperienza dell’amore generativo che stabilisce il fondamento
psico-antropologico della coppia. Questa radice profondamente umana all’origine
di possessività, appartenenza, oblatività spontanea e tendenza protettiva che
dal partner si estendono ai figli, deriva dall’imprescindibile costituzione
neurobiologica del nostro cervello e, quale costante, può rappresentare un fil
rouge per leggere i modi in cui tale intimità entra in rapporto col sistema
di regole religiose concepite per conferirle forma.
Il desiderio
di trovare nuovi metodi e nuove prospettive per conoscere il passato, indagando
sull’origine dei soggetti stessi della storia, che lo porta a definirsi “archeologo
dei saperi”, appartiene alla stessa esigenza che condurrà al costituirsi dell’antichistica,
quale nuovo campo del sapere rappresentato nel nostro paese soprattutto da
Mario Vegetti. L’espressione del suo desiderio di percorrere nuove vie in campo
epistemologico e portare nuovi frutti nel lavoro di indagine, più prossimi alla
dimensione umana dei soggetti storici della fredda oggettività di nozioni e
dati proposti da colleghi e filologi tedeschi, trova la sua dimensione al College
de France[5]. È questa un’istituzione culturale difficile da
immaginare nella nostra realtà dove l’istruzione è ostaggio, virtualmente dall’Unità
d’Italia, di un sistema di gestione burocratica dell’insegnamento adatto ad
assicurare l’alfabetizzazione dei bambini ma decisamente inadeguato allo
sviluppo di ingegni e saperi nella dimensione adulta e internazionale della
conoscenza, e mortificante per la storia della nostra tradizione accademica
dalle origini medievali all’età contemporanea.
Foucault
gode pienamente di questa libertà e produce una mole considerevole di lavoro di
alta qualità culturale, da degno ex-collega di Maurice Merlau-Ponty
e Louis Althusser; tuttavia, si ingabbia da solo nell’obbligo
di percorrere i campi della conoscenza non con la serena disponibilità di colui
che ricerca allo scopo di trovare senso negli elementi di realtà, ma col
compito di dedurne interpretazioni ideologiche. Infatti, afferma: “Il sapere
non è fatto per comprendere, è fatto per prendere posizione”[6].
In ogni caso, sono dell’avviso che Foucault,
pur con le caratteristiche e i limiti emersi soprattutto nell’incompiuta Storia della sessualità, abbia dato il meglio di sé nella ricerca storica, e sono fra quelli che ritiene
che la sua filosofia sia stata troppo condizionata dal gioco ideologico dell’utilizzo
di chiavi marxiane e nicciane[7] per potere fornire contributi realmente originali.
Il limite di Foucault, a mio avviso,
è che la sua struttura interpretativa, così bene congegnata e coerente al suo interno,
usata in modo rigoroso, sistematico, capillare ed esclusivo nell’analisi
storico-filosofica, si sovrappone alla realtà e, in un certo senso, la
nasconde. Il lettore, soprattutto se affascinato dall’acume della costruzione e
dalla sua efficacia nel conferire senso logico alle condotte umane, può non accorgersi
che gli strumenti di interpretazione finiscono per leggere sé stessi e perdere l’oggetto
reale.
Collocando il potere nei discorsi
e nel loro funzionamento quotidiano finisce per vederlo, non solo dove realmente
esiste e altri prima di lui lo aveva ignorato, ma anche troppo oltre in una capillarità
da sempre nota come semplice influenza della cultura sul pensiero e, dunque,
sulla comunicazione interpersonale quotidiana[8]. In tal modo finisce per attribuire ai frammenti di sapere gestiti
nella quotidianità un’intenzionalità diffusa che di fatto non esiste ed
è solo il potere intrinseco del sapere, sia pure allo stato
atomizzato del senso involontario posto in gioco nei discorsi prodotti dai singoli[9].
Se si sta al gioco di Foucault, e si
accetta che la lettura in termini di microfisica del potere[10] di tutto ciò che attiene alla condizione umana non sia soltanto una
prospettiva provocatoria e stimolante ma la scoperta di una verità rimasta celata
agli occhi di tutti fino a quel momento, allora si può dire che il potere si esercita
anche nella trasmissione dai genitori ai figli delle norme dell’igiene personale
e delle tradizioni in fatto di alimentazione; ma non si tratta del “potere” al
singolare del quale parla Foucault. Si pensi al potere talvolta magnetico che
esercita il sorriso di un lattante sui propri genitori, si pensi al potere del
fascino personale legato a uno stile o a una forma, si pensi infine e soprattutto
al potere che esercita la bellezza della natura sull’animo di tutti coloro che
non sono assorbiti, distratti o angosciati dalle realtà condizionanti e spesso
frustranti della vita.
Sono poteri diversi e realmente
distribuiti, che non fanno capo a una struttura politica secondo il paradigma
marxiano del potere assunto da Foucault quale chiave di lettura universale ed
esclusiva[11], ma di forze che fondano la loro efficacia evocativa nel sistema di valori
biologici impressi nel nostro sistema nervoso centrale dall’eredità genetica e
nei valori simbolici trasmessi dalle tradizioni culturali[12]. Se è vero che l’esercizio del potere politico in chiave ideologica,
soprattutto nelle dittature, è giunto a manipolare le coscienze privandole
della libertà più preziosa per la vita di ciascuno, che è quella di pensiero,
questa terribile realtà non può giustificare l’errore di estendere questo uso
del potere di condizionamento dell’uomo sull’uomo a paradigma universale per la
lettura di ogni forma di influenza che si esercita in ambito umano[13].
In Foucault tutto il sapere è
uguale a sé stesso ed è ostaggio del potere[14]; non esiste la libertà umana di concepire e creare fuori di questa
dittatura universale perché, di fatto, non esiste più il soggetto: tutti gli
uomini sono concepiti come strumenti inconsapevoli di un mostruoso e
ineluttabile congegno di forza centrale che nutre sé stessa impiegando gli
individui come pedine di un gioco tentacolare onnipotente[15]. Una sorta di estremizzazione e universalizzazione del modello antropologico
assunto da Karl Marx per gli operai privi di coscienza di classe. In realtà, come
in molti altri autori di quel periodo, questo pensiero è articolato come una
successione di dogmi indimostrati, ma protetti dalla condivisione nell’ambito
di un’élite ideologica, che li costituisce come blocchi intangibili, al
punto da ricordarmi le “parole dure come sassi” di cui parla Nietzsche in Aurora,
contro le quali, se si inciampa, è più facile rompersi una gamba che spostarle[16].
Un’immagine molto suggestiva, ossia
il Panopticon di Bentham, è presentata in Sorvegliare
e Punire - saggio sulle istituzioni totali[17], in cui si ha un centro di potere dal quale si
dipartono tutti gli sguardi; eppure, come nota Franco Rella, la speculazione
porta Foucault a scoprire che questo centro è vuoto[18]. E allora lo interpreta come il blanc, il
silenzio, il vuoto quale carattere distintivo del centro del potere. In altri
termini, per essere coerente con la sua concezione dell’entità onnipresente,
onnipotente e persecutoria, anche quando non lo trova, il potere, lo produce
come “allucinazione”.
A più riprese nello sviluppo
ideologico della sua filosofia, Foucault assume posizioni in tal modo preconcette
e ad arte presentate come una “resa problematica a tutto campo”, nella quale
però si assumono varie forme di irrazionalismo, fra cui la negazione dell’esistenza
delle categorie naturali e dei fatti su cui si basa la logica matematica, tanto
da attirarsi l’avversione assoluta di Jean Baudrillard[19].
Se la concezione di Foucault non
fosse così raffinatamente studiata, tanto sottilmente argomentata e fondata non
solo su presupposti di principio ma su solide documentazioni storiche, la si
direbbe un delirio, ossia una formazione di pensiero nella quale gli elementi
reali appaiono in una costruzione che riflette le esigenze interne di un sistema
psichico, prescindendo dai fatti di realtà e dai loro rapporti logici
riconosciuti dall’esperienza comune[20].
5. Nuove in fatto di morale e
vita quotidiana circa le attualità del passato. Siamo abituati a pensare alla
comunicazione e alla diffusione di un’idea o di un qualsiasi prodotto
del pensiero come ad un unico evento o processo perché nel mondo di oggi, nella
massima parte dei casi, sono due fasi simili e prossime, quando non sono proprio
simultanee. Nell’epoca classica non era così.
Nell’antichità il maestro di una
scuola filosofica elaborava un’idea e la comunicava ai suoi discepoli; ma, se
voleva che questa tesi, congettura, massima o pratica di vita si diffondesse,
doveva affidarla a giovani disposti a viaggiare, perché quell’idea avrebbe
letteralmente percorso chilometri sulle gambe di quelle persone, in grado di
presentarla a simposi e convegni frequentati da altri pensatori, che avrebbero
potuto a loro volta diffonderla e portarla nei palazzi del potere, offrirla ai
retori di corte, farne emblema di saggezza presso il popolo o strumento
dialettico per controversie o suasorie[21]. Di questa funzione di raccordo non programmata troviamo esempi nei
dialoghi di Platone.
Anche nel seno delle famiglie, nel
loro piccolo, accadeva qualcosa di simile. La domina, o signora e padrona
della casa, ma anche il dominus e i figli giovinetti, dedicavano una
parte del giorno allo studio, più spesso nelle giornate di sole, quando era più
agevole negli spazi verdi aperti all’interno del perimetro della casa o nella
luminosa penombra delle esedre, leggere papiri, usarli da antigrafi e
copiarne il testo[22] sul piano di tavolini di marmo e ferro battuto o, magari, prendere appunti
su tavolette cerate. Così nei momenti conviviali si leggeva un componimento
poetico, la critica a un lavoro di teatro filosofico, una nuova idea per la salute
pubblica o semplici enfatizzazioni caricaturali di episodi grotteschi narrati
con giochi di parole ed effetti buffi, per il divertimento di membri della
famiglia e, in generale, ospiti della casa. In tal modo avveniva una prima
comunicazione, ma se si desiderava la diffusione era necessario recarsi più
volte a pranzo o a cena da amici, talvolta muniti di una copia dello scritto da
offrire quale pegno di riconoscenza per i doni di ospitalità.
Cerchiamo di immaginare, sulla base
delle ricostruzioni storico-archeologiche elaborate soprattutto sui reperti
dell’antica Pompei, una coppia o una famigliola che si reca a una dimora un po’
distante dove si terrà l’incontro conviviale alla presenza di numerosi ospiti
dell’anfitrione. Potevano usare un mezzo a trazione animale e sapere durante il
tragitto quanto mancasse all’arrivo, perché la tecnica dell’epoca aveva creato
rudimentali contachilometri costituiti da un congegno che lasciava cadere in un
contenitore una biglia per ogni giro di ruota: dalla conta delle biglie si conosceva
il numero di giri compiuti e, moltiplicando per il numero di biglie il fattore
dato dall’equivalenza fra tratto lineare e giro della ruota, si otteneva la
distanza percorsa. Durante il viaggio, il testo da recitare al banchetto poteva
essere ripassato ricorrendo agli esercizi di mnemotecnica più praticati ed
essere rifinito e completato da espressioni di linguaggio non verbale. Ogni
esposizione era, a quel tempo, una piccola performance di memoria,
recitazione e oratoria; e la possibilità che fosse ritenuta e in seguito
propagata dipendeva dalla presa che aveva avuto sull’uditorio.
Questo quadretto immaginario ci
aiuta a figurarci ciò che emerge dai documenti come un mezzo capillarmente
diffuso di osmosi tra cultura privata e pubblica.
Ma, prima di continuare sul rapporto
fra mondo interno e mondo esterno alla domus, come abbiamo fatto nel
corso del seminario, attingo allo straordinario lavoro di ricerca storica sulla
vita privata dall’Impero Romano all’anno mille[23] che si deve al progetto avviato da Philippe Ariès
e Georges Duby e sviluppato da storici eminenti negli
anni successivi[24].
La castità dei coniugi è un valore,
una tradizione e un’abitudine: in una parola, un ethos. È parte dello
stile di vita quotidiano tanto quanto la pulizia della casa, l’igiene personale
e l’uso del buon senso; anche se in origine vi erano ragioni filosofiche e religiose
differenti, ormai si tratta di un costume profondamente radicato e probabilmente
consolidato durante il mezzo millennio di ellenizzazione dei territori dell’Impero
Romano.
È importante sottolineare che non si
tratta della semplice fedeltà coniugale, ossia del tener fede al patto di
legame esclusivo, ma di un regime ordinario che prevede l’astensione da ogni
genere di intimità all’interno della coppia, eccezion fatta per le circostanze
in cui si concorda di mettere al mondo un figlio. Una tale disciplina, che si
ritiene fosse osservata dalla maggioranza, è sembrata agli storici simile a
quella delle vestali e delle vergini romane di alto rango, obbligate alla
purezza dalla casta, da cui il termine stesso castità.
Alla coscienza dei membri della coppia emerge la
valenza della signoria di sé per la stima affettiva: la continenza non
si limita a dare forma strutturata al soggetto responsabile temprato nell’altruismo
e nelle priorità dello spirito, ne accresce la rispettabilità fino all’ammirazione
agli occhi dell’altro, e soprattutto fonda l’autorevolezza dei coniugi nel
compito educativo.
Paul Veyne, a proposito dello stile
della coppia, parla di “conformismo volontaristico” e sottolinea che “c’era, fra
lo stoicismo e la nuova morale coniugale, un’affinità più autentica. Questa morale
non prescriveva più di eseguire docilmente un certo numero di compiti coniugali,
ma di vivere da coppia ideale, in base a un costante sentimento d’amicizia per
sé sufficiente a dettare dei doveri”. […] Il conformismo stoico riprenderà l’istituto
matrimoniale in tutto il suo rigore e lo renderà più severo esigendo dagli
sposi che controllino il minimo gesto e che prima di cedere al minimo desiderio
possano provare che questo desiderio è fondato sulla ragione”[25].
Il matrimonio non ha il valore di patto
sacramentale dei coniugi con Dio come era nel mondo ebraico e poi sarà nell’Europa
cristianizzata dopo Costantino, ma è considerato unanimemente da filosofi e
politici di epoca ellenistica l’istituzione più importante per il controllo
morale del cittadino e l’edificazione dei corpi sociali. Antipatro di Tarso,
per restare agli stoici senza tornare indietro all’insegnamento socratico[26], incoraggiava il matrimonio “per dare cittadini alla patria e perché la
moltiplicazione della specie umana è conforme al piano divino dell’universo”[27]. Musonio insegna che a fondamento del matrimonio
c’è la procreazione e l’aiuto reciproco tra coniugi[28].
Ma la distanza maggiore dalla
sensibilità cristiana la troviamo in Epitteto, che considera l’adulterio un
furto e propone un imbarazzante paragone, definendolo disdicevole come a pranzo
rubare dal piatto del vicino di posto una porzione di maiale[29].
Seneca ribadisce il carattere casto
dell’amore fra i coniugi, sostenendo che non debbano eccedere in effusioni come
le carezze e limitare l’intimità al solo fine procreativo; allo scopo di
preservare il valore del matrimonio nel prevenire i mali dell’animo, ammonisce
gli uomini a non trattare la moglie come un’amante[30]. Ricordo che, trecento anni dopo, queste parole sono citate e approvate da
San Girolamo.
Il poeta Lucano, così caro a Dante
che nel IV canto dell’Inferno, proclamandosi “sesto tra cotanto senno”, lo
menziona con Virgilio, Omero, Orazio e Ovidio, era nipote di Seneca e, in
materia di matrimonio, aveva la stessa concezione dello zio. Lucano, autore di
una cronaca realistica della guerra civile tra Cesare e Pompeo, narra di
Catone, di fede stoica, che deve congedarsi dalla moglie per lungo tempo o
forse per sempre, perché parte per la guerra; il poeta tiene a precisare che
Catone non ha un rapporto sessuale con la consorte, nonostante la circostanza
eccezionale, per coerenza dottrinale con i propri principi.
Si legge che anche lo stesso Pompeo,
sebbene non fosse stoico, prima dell’addio a sua moglie non rimane a giacere
con lei. “Perché quest’astinenza?” si chiede Paul Veyne. E poi fornisce questa
risposta: “Perché un uomo dabbene non vive all’insegna delle piccole
soddisfazioni e sorveglia ogni suo minimo gesto; ora, cedere al desiderio è un
gesto immorale: bisogna andare a letto insieme per un solo motivo ragionevole:
la generazione. Si tratta meno di ascetismo che di razionalismo”[31].
In effetti, le tesi stoiche sono
sviluppate secondo rigore e coerenza razionale, come sarà per quelle della
pedagogia cristiana, ma la differenza non deve essere cercata né nella struttura
logica – molto simile – né nella forma comportamentale – che è quella comune
della privazione – ma nella sostanza del credo e del fine, come ho dettagliato all’inizio
di questo paragrafo.
Posso essere d’accordo con Paul
Veyne quando afferma: “La «pianificazione» stoica ha dunque una somiglianza
ingannevole con l’ascesi cristiana”, ma non posso concordare con lui che la
vera linea di demarcazione sia quella che separa una “morale dei doveri
coniugali” da una “morale interiorizzata della coppia”. Tale dicotomia per me è
solo un criterio un po’ artificioso per introdurre una distinzione presente più
nella mente del suo autore che negli effetti deducibili dai documenti.
Sinceramente, non credo esistano una
“morale dei doveri” e una “morale dell’interiorità”: esistono stati psichici e
usi della mente e delle risorse cognitive rispondenti a differenti stati d’animo
ed esigenze pratiche. Le parti prescrittive o pedagogiche esistono come prassi
di qualsiasi dottrina; allo stesso modo, l’interiorizzazione
della morale è una dimensione che, pur dipendendo nella pratica dai suoi
interpreti, si suppone sempre presente. Senza un’interiorità, a mio
avviso, non esiste una morale. Anche l’ethos più inconsapevole e mutuato
dalla semplice consuetudine ad abitare un particolare luogo di senso, come vuole
l’etimo all’origine dei valori semantici della famiglia di parole connesse al
concetto di etica, appartiene all’interiorità di un individuo, pur quando
inconscia. Per seguire l’idea, che è verosimilmente all’origine delle “due
morali” proposte da Paul Veyne, ossia l’esistenza di una differenza fra
coloro che si limitano a rispettare le regole per superficiale conformismo e
quanti le hanno introiettate e le seguono con convinzione profonda, si dovrebbe
poter esaminare la coscienza dei soggetti storici e stimare il grado di
consapevolezza nell’agire morale di ciascuno.
Un’operazione sicuramente
impossibile ma che mi sento, consolatoriamente, di reputare inutile: in ogni
contesto sociale, in ogni epoca della storia, una parte delle persone vive con
responsabile profondità e talvolta con appassionato impegno i principi del
sistema morale cui appartiene, mentre un’altra parte vi aderisce con
accondiscendente superficialità.
Forse la più importante
sottolineatura dello storico dovrebbe riguardare un’opinione che ha desunto da
documenti e testimonianze: coloro che aderivano per semplice conformismo alle
regole di vita della coppia costituivano la stragrande maggioranza. Non è
possibile sottoporre a verifica sperimentale un simile assunto ma, stando al
criterio storico della ragionevolezza e verosimiglianza, possiamo far nostra questa
deduzione. D’altra parte, non ne sono particolarmente meravigliato, in quanto
lo sguardo d’insieme ci ricorda che stiamo considerando una realtà temporale
che non è più quella della fervente fucina di passioni filosofiche dell’epoca
classica e non è ancora quella dell’affermazione della spiritualità
cristiana; pertanto è lecito presumere uno stato generale di transizione dei
valori nella coscienza collettiva.
Rimanendo alla dimensione
interpersonale dell’unione matrimoniale, un aspetto mi sembra rilevante: l’uguaglianza
dei coniugi rispetto ai doveri comportati dal vincolo che lega l’unione giuridica
della coppia alla struttura di senso legale della nazione. Anche se molti
stoici non rinunciano ai privilegi maschili, compreso l’imperatore Marco Aurelio,
interprete dello stoicismo che si compiace dell’obbedienza della consorte, il
carattere bilaterale del contratto stabilisce che l’adulterio del marito sia
considerato grave quanto quello della moglie[32]. Si tratta di un cambiamento molto rilevante, che gli storici definiscono
come un abbandono della “vecchia morale” che non giudicava le colpe secondo i
valori ideali, ma in base alla realtà civica che riconosceva il privilegio
maschile[33]. Tuttavia, non ci spiegano perché ciò avvenga e se si possa attribuire
alla tardiva affermazione di ideali ateniesi nel lungo e faticoso processo di
ellenizzazione della cultura europea.
Suggestivo il parallelo con la
storia del popolo ebraico: Mosè concede il diritto di ripudiare la moglie solo
agli uomini; tredici secoli dopo, Gesù Cristo spiega che la possibilità di
consegnare il libello di ripudio e mandare via la consorte era stata
concessa dal patriarca per la durezza del cuore dei loro progenitori, e
ristabilisce l’uguaglianza dei coniugi davanti a Dio a cui sono legati dal
patto sacramentale, che rimane per entrambi indissolubile, tranne nei casi in
cui il patto è già stato rotto, come nel concubinato e nell’unione incestuosa.
Gesù rimuove dopo oltre un millennio la pena di morte mediante lapidazione per
l’adulterio: il giudizio – inteso quale processo per stabilire colpe e pene –
non compete all’uomo, ma solo a Dio.
Difficile dimostrare un’influenza di
questo pensiero veicolato da coloro che nella nostra penisola leggevano il
Vangelo da perseguitati, ma non si può negare questa possibilità alla luce di
quanto accadrà nei secoli seguenti con l’entrata nei codici giustinianei di
principi dell’etica cristiana nel diritto romano.
Un concetto specificamente legato
alla tradizione pagana è quello della ragione della casa, che ci riporta
all’incursione nello spazio domestico della casa romana nel quale abbiamo
cercato elementi del vissuto della dimensione privata che, nella sua
osmosi con le varie forme di quella pubblica, tesse la trama di
sentimenti e sensibilità collettiva alla base della cultura di un popolo.
La casa romana era circondata da un
solco che segnava il limite fra l’interno e l’esterno: lo scavo generalmente
ospitava piccoli animali di allevamento e, pertanto, la sua larghezza massima
era calibrata sul diametro trasverso del maiale di maggiori dimensioni, che era
detto lirium e dava il nome al solco confinario stesso[34]. Uscire dalla porzione di terreno appartenente alla casa o ratione della domus costituiva un andare
oltre il giusto, non semplicemente oltrepassare il lecito. Il termine delirium
nasce come espressione del linguaggio figurato proprio per indicare lo
sconfinamento oltre i limiti della ragione della casa[35].
Lo spazio domestico, retto dalla
struttura simbolica del vincolo nuziale e dei legami con i figli e gli altri
abitatori è uno spazio di responsabilità secondo una concezione che si
rafforza e si specifica con vincolo di senso al sacro nella transizione
cristiana.
Ricordiamo che nella cultura
cristiana i coniugi diventano sposi: vocabolo italiano derivato dal
termine latino indicante colui che si assumeva una responsabilità di qualcuno e
poteva garantire per questa persona, come bene rappresentato nella locuzione spondet pro aliquo,
riferita al mallevadore. La medesima radice dà luogo a parole che conservano in
tutto o in parte il valore semantico dell’etimo originario, come la parola
inglese sponsor, che negli USA del secolo scorso indicava la persona garante
dello straniero che voleva acquisire la cittadinanza americana. Gli sposi sono
coloro che si assumono reciprocamente la responsabilità della vita e della
salute.
I legami all’interno della famiglia
pagana media sono fortemente supportati da condivisione di beni e trasmissione
di eredità; interesse materiale che spesso fa registrare quasi una proporzione
diretta fra entità del patrimonio e qualità forte e duratura dei vincoli.
Nella famiglia cristiana il valore
sacramentale del matrimonio, il comandamento “onora il padre e la madre” e il votarsi
all’amore del prossimo chiamano in causa direttamente Dio, dagli anni della
formazione educativa all’età di assunzione di responsabilità di sé e dell’altro
al suo cospetto. Pertanto, chi abbia davvero maturato sensibilità coerente con
la fede che professa, e non sia solo un battezzato che ignora o neglige la
sostanza del suo credo, sarà lontano da interessi materiali, che considera
piuttosto un ostacolo per la salvezza. Tra i veri cristiani non di rado si
registrano vincoli affettivi più intensi in nuclei familiari più poveri.
Ma, concludendo la visita alla dimora
dell’epoca imperiale, congedandomi dalla padrona di casa non posso fare a meno
di ammirarne la realizzazione: l’unione fra la probità espressa dall’assunzione
di responsabilità della vita dell’altro, che genera serena e fiduciosa armonia
interiore, e l’esercizio delle virtù nello spazio estetico della domus,
in cui pareti dipinte, oggetti d’arte e arredo esprimono l’ammirevole cura della
dimensione culturale e spirituale, rappresenta la sintesi che ha fondato quell’ideale
di bellezza che ancora ci affascina tra la nostalgia struggente di un paradiso
perduto e la speranza futura sospesa nella luce di un sogno.
L’autore della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giuseppe Perrella
BM&L-24 aprile 2021
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presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Le commistioni, le sintesi e le sinergie
tra cristianesimo e stoicismo sviluppate nel mondo romano, soprattutto nei
primi secoli d.C., sono state oggetto di approfondite analisi da parte di
numerosi storici; fra questi Paul Veyne osserva che il cristiano Clemente d’Alessandria
copia alcune prescrizioni coniugali dallo stoico Musonio
senza citare la fonte, perché la castità del comportamento condivisa dalle due
dottrine aveva ragione e fine diverso.
[2] Qualcuno dei suoi critici ha
affermato che in fondo il suo lavoro è consistito nel ricostruire una storia
del costume come hanno fatto Will Durant, Philippe Aries,
Georges Duby e tanti altri, solo che la fama,
ottenuta grazie al successo di Storia della follia nell’età classica, ha
portato i suoi scritti all’attenzione di un pubblico più vasto che ne ha enfatizzato
i meriti.
[3] Nel 44 d.C. presso uno scalo
fluviale dell’Arno sbarcò San Pietro con altri apostoli e discepoli di Gesù,
conferendo a quella frazione del comune di Pisa, detta poi San Pietro a Grado,
il fascino del primo luogo in Italia dove è stata celebrata l’eucarestia quale
prima forma del rito della messa. Pietro improvvisò un altare dove divise il
pane su un tronco di colonna, sormontandolo con una lastra di marmo ancora oggi
conservata nella chiesa. Le pietre dove sedettero gli apostoli furono preservate
dai cristiani e, dieci secoli dopo, si edificò intorno ad esse la basilica di
S. Pietro a Grado. Visitando la basilica, si possono ancora vedere le vestigia
della prima celebrazione cristiana in Europa.
[4] Foucault era omosessuale ed ebbe
come compagno di vita per circa venticinque anni Daniel Defert,
che aveva conosciuto come studente di filosofia.
[5] Il College de France è
concepito all’insegna dell’esercizio liberale dell’ingegno che impone ai suoi
professori solo 26 ore di lezione l’anno, anche ripartite in due seminari di 13
ore, e non pone alcun limite massimo alle lezioni. La partecipazione a corsi e
seminari è del tutto libera e non richiede iscrizione e titoli di studio;
convenzionalmente si dice che i professori del College de France non
hanno studenti ma uditori, spettatori, discepoli e collaboratori in ascolto.
[6] Michael Foucault, Microfisica
del potere, p. 43, Einaudi, Torino 1977.
[7] Che a volte ne hanno compromesso
anche l’efficacia logica.
[8] Esistono strumentalizzazioni ideologiche
come quelle dei regimi totalitari e dell’indottrinamento islamico, nelle realtà
di integralismo fanatico, che consentono di esercitare potere e controllo anche
in queste circostanze fra persone non coscienti di ciò.
[9] Esistono tanti modi alternativi
e specifici di lettura del potere non politico nella realtà; uno di
questi è suggerito dalla psicologia con la dicotomia fra intelligenza
cinetica e intelligenza potenziale: la prima è quella che usiamo nei
processi mentali, la seconda è quella contenuta negli strumenti tecnici. Le
forbici contengono l’intelligenza potenziale della leva che le rende efficaci.
Il potere delle forbici è tagliare e il senso che compete loro si
ferma lì. Un bambino può usarle per ritagliare figure e un assassino per infliggere
una ferita mortale.
[10] Cfr. Michael Foucault, Microfisica
del potere (III ed.), Einaudi, Torino 1978.
[11] Foucault, a un certo punto della
sua riflessione, accortosi di aver seguito come un paradigma universale assoluto
per la comprensione della realtà quella logica che era stata sviluppata da Marx
per l’analisi dei rapporti fra potere politico e valore economico, dichiara di
voler contrapporre alla “scienza del marxismo” l’anti-scienza dei
saperi liberati (cfr. F. Rella, Il mito dell’altro – Lacan,
Deleuze, Foucault, p. 64, Feltrinelli, Milano 1978).
[12] Un modello schematico ed efficace
per comprendere l’influenza dei valori biologici sul comportamento si trova
nella teoria di Edelman. I primi modelli culturali trasmessi inconsapevolmente
dai genitori ai figli sono quelli legati all’insegnamento della lingua con il
suo uso sociale e le strutture di pensiero che vi sono incluse.
[13] Soprattutto è necessario
spiegare perché, in base a quale concetto interpretativo, a quale nesso di
causalità o a quale evidenza, si possa accettare l’idea che tutto ciò che si
può ricondurre al valore semantico della parola “potere” debba essere considerato
un’unica essenza.
[14] Da notare: sempre tutto al singolare,
per imprimere bene nella mente del lettore che non deve operare distinzioni,
altrimenti rischia di “stare al gioco” di quella forza pervasiva e
onnipresente.
[15] Uno dei tanti errori logici che
si rilevano in queste costruzioni è la presunzione indimostrata e indimostrabile
di un nesso che colleghi tutti i fatti e le vicende umane riportandole a questa
misteriosa essenza assoluta dotata di intenzionalità autoreferenziale che sarebbe
il “potere”. A giustificazione, Foucault adduce una boutade di Nietzsche
come fosse un dogma: non esiste una distinzione tra interpretazione e fatti
perché i fatti non esistono.
[16] A queste tematiche, come allo
scontro fra neomarxisti e nuovi filosofi francesi, la Feltrinelli aveva
dedicato intere collane, quale quella degli “Opuscoli Marxisti”. Leggendo quegli
scritti non ho mai trovato uno straccio di dimostrazione o un serio tentativo
di analisi, ma solo elaborazioni articolate a partire da questi dogmi su potere
e sapere.
[17] Michel Foucault, Sorvegliare
e punire, Einaudi, Torino 1976.
[18] Cfr. F. Rella, op. cit., p. 62.
[19] Cfr. Jean Baudrillard, Oublier
Foucault, Galilée, Paris 1977.
[20] Queste caratteristiche del “delirio”,
inteso in termini di metafora e non secondo la semeiotica psichiatrica che si
riferisce esclusivamente alla stima di un sintomo nel contesto della valutazione
complessiva della fisiologia psichica di una singola persona, si possono
facilmente applicare alle tesi del tutto infondate dei terrapiattisti, dei negazionisti
di realtà storiche, dei complottisti, ecc.
[21] Alcuni lavoravano ai loro manoscritti
anche per più di 20-30 anni; in quel caso
gli autori, filosofi o storici che fossero, erano rassegnati all’idea che una
vera e propria diffusione della loro opera sarebbe stata affidata alle
generazioni successive.
[22] La lettura dei libri, che erano
rotoli di papiro vergati in scriptio continua – ossia senza spazi tra le parole
–, era scomoda e impegnativa perché richiedeva l’impiego di entrambe le mani per
srotolare da una parte e riarrotolare dall’altra, procedendo nella lettura, e molta
concentrazione per prima decifrare e poi leggere. Da un rotolo di Demetrio Laconio, studioso del II secolo a.C. seguace di Epicuro,
ritrovato negli scavi delle rovine dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.,
sappiamo del problema dei danni frequenti a questi preziosi originali, cui i
copisti cercavano di porre rimedio.
[23] La ricerca storica su temi mai
trattati, da quella di singole istituzioni a quella del gesto quotidiano era
giunta in Italia con le traduzioni delle opere di storici del calibro di
Jacques Le Goff e Fernand Braudel, ma per i temi da questi autori non trattati si
continuava ad attingere a Foucault, nonostante la sua notevole ideologizzazione
interpretativa. Per questo l’idea di ricostruire la vita quotidiana degli
antichi al di fuori di ogni chiave di lettura ideologica, proposta da Michel Wincock, fu accolta con entusiasmo da molti storici. Philippe
Ariès se ne impadronì e gettò le basi materiali per
lanciare l’impresa con Geroges Duby,
ma improvvisamente scomparve lasciando materiali e metodi a collaboratori ed
eredi.
[24] Autori di capitoli e sezioni dei
volumi pubblicati sono Peter Brown, Evelyne Patlagean, Michel Rouche, Yvon Thébert e Paul Veyne.
[25] Paul Veyne, L’Impero Romano,
in La vita privata dall’Impero Romano all’anno mille (Philippe Ariès e Georges Duby, a cura di),
p. 32, CDE (su lic. Laterza), Milano 1987.
[26] Celebre il consiglio di Socrate
al giovane: “Sposati! Se troverai una buona moglie, ella ti farà felice; se
troverai una cattiva moglie, ella ti farà filosofo”.
[27] Paul Veyne, L’Impero Romano,
op. cit., p. 33.
[28] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., idem.
[29] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., idem.
[30] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., idem.
[31] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., idem.
[32] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., p. 33.
[33] Ricordiamo che una delle origini
del privilegio maschile era data dalla struttura militare della società e del
potere, quale derivazione politica dell’originaria ripartizione antropologica
dei compiti tra uomo e donna.
[34] Sono debitore per questa nozione
al professore Aniello Gentile, che fu illustre storico delle lingue, interprete
di sanscrito, grecista, latinista e lessicografo.
[35] Fra gli autori che hanno spesso
citato questa etimologia ricordo Giorgio Agamben, che la riporta anche nel
saggio Infanzia e Storia.